'Impara a volare schiantandoti': ecco il drone che impara dai suoi incidenti

'Impara a volare schiantandoti': ecco il drone che impara dai suoi incidenti

Un documento intitolato Learning to Fly by Crashing della Carnegie Mellon University considera la possibilità di realizzare algoritmi per il volo autonomo apprendendo dagli stessi incidenti: nell'esperimento sono stati provocati ben 11.500 incidenti

di pubblicata il , alle 15:41 nel canale Scienza e tecnologia
 

"Learning to Fly by Crashing" è uno studio degli esperti di robotica Dhiraj Gandhi, Lerrel Pinto e Abhinav Gupta, anche se sembra uno di quei manuali motivazionali che vanno molto in voga negli ultimi anni. L'abstract del documento abbinato fa capire l'approccio che hanno utilizzato i tre ricercatori per portare a compimento l'esperimento il cui l'obiettivo era quello di realizzare un drone capace di volare imparando dai propri stessi errori attraverso algoritmi avanzati.

"Il divario che c'è fra la simulazione e il mondo reale rimane grande soprattutto per i problemi di percezione. Il motivo per cui la maggior parte delle ricerche evita di utilizzare dati reali su larga scala è per la paura degli incidenti! In questo documento proponiamo di raccogliere un insieme di dati proprio dagli stessi incidenti. Abbiamo realizzato un drone avente il solo obiettivo di schiantarsi contro gli oggetti, e usiamo tutti questi dati di volo negativi in abbinamento a quelli positivi raccolti dalle stesse traiettorie per apprendere una metodica semplice, ma efficace, per la navigazione UAV".

Se pensiamo il successo nel volo come un continuo incidente evitato è più semplice capire l'approccio utilizzato dai tre ricercatori. Per insegnare al software come viaggiare, insomma, il modo più semplice è fare esperienza diretta con gli incidenti. Solo in questo modo l'algoritmo sarà in grado di apprendere come evitarli e quindi imparare definitivamente a gestire un dispositivo ed evitare la maggior parte di incidenti potenziali. Si tratta di un approccio che un umano non potrebbe perseguire, visto che c'è in ballo la propria vita, ma assolutamente logico per un oggetto senza vita.

I ricercatori hanno quindi utilizzato un AR Drone 2.0 in 20 diversi ambienti interni per circa 40 ore complessive di volo, raccogliendo i dati delle circa 11.500 collisioni avvenute durante gli esperimenti. Questo è possibile solo con un velivolo di questo tipo perché, come specificano i realizzatori dell'esperimento, "gli scafi di un drone sono economici e semplici da rimpiazzare, e il costo del fallimento trascurabile". Ogni collisione è stata provocata nel modo più casuale possibile, e dopo ogni incidente (non fatale) l'algoritmo provava a scegliere una nuova direzione.

Durante le procedure la fotocamera integrata registrava immagini ad una frequenza di 30Hz che, dopo le collisioni, venivano suddivise in due parti: da una parte le registrazioni "positive", dall'altra quelle finite male con incidenti. Tutte le immagini sono state poi analizzate all'interno di una "deep convolutional neural network", una serie di algoritmi di deep learning avanzati capace di giudicare le manovre intraprese dal drone in ogni singola circostanza. Dopo 11.500 collisioni l'algoritmo definitivo è stato in grado di volare autonomamente anche in angusti ambienti interni.

L'algoritmo finale che controlla il drone suddivide quindi l'immagine della fotocamera integrata in due parti 30 volte al secondo, quella destra e quella sinistra, valutando quindi la direzione che appare meno rischiosa. Se entrambe sembrano invece sicure il drone procede la sua traversata in avanti. Il sistema non è naturalmente efficace come un pilota umano, anche se può offrire diversi vantaggi negli ambienti stretti come corridoi soprattutto rispetto agli algoritmi odierni in presenza di muri o porte in vetro, particolarmente difficili da gestire con le tecnologie attuali.

L'incognita è l'efficacia di un processo di apprendimento di questo tipo: nel caso di una fase di learning tradizionale infatti è l'essere umano che deve creare un algoritmo che renda possibile la gestione autonoma del velivolo. Nel caso invece analizzato dai tre ricercatori la fase di apprendimento è assolutamente automatica, con l'uomo che non deve far altro che cambiare le batterie o sistemare lo scafo in caso di collisioni esagerate. Per apprendere le stesse informazioni in maniera tradizionale bisognerebbe effettuare diverse simulazioni, con un risultato non sempre assicurato.

E a dirla tutta, forse, schiantarsi casualmente contro gli oggetti può essere la cosa più efficace da fare.

3 Commenti
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Spawn758615 Maggio 2017, 16:13 #1
Il drone di Jet McQuack
Vindicator2315 Maggio 2017, 16:19 #2
Where did you learn to fly?

https://www.youtube.com/watch?v=1ObaiI30500
RenatoT16 Maggio 2017, 01:12 #3
figo, sembra ubriaco in terza persona

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